Beauty Branding 101: come Glossier e Drunk Elephant raccontano la pelle che vorremmo avere
- Sara Coppola

- 30 lug
- Tempo di lettura: 3 min
“La tua pelle, ma meglio.”Quante volte l’abbiamo sentita? Come se bastasse una sola passata di siero per ottenere la versione più fotogenica e rassicurante di noi stesse. Ma in realtà, dietro ogni claim da packaging, ogni vasetto rosa pastello e ogni naming che sembra uscito da una conversazione tra amiche, c’è molto di più di una semplice crema. C’è un universo. Un linguaggio. Un’identità visiva che dice chi sei prima ancora che tu apra il tappo.Benvenuti nel mondo del beauty branding, dove il vero prodotto non è una texture, ma un’immagine di sé.
In questa lezione 101 di estetica e narrazione cutanea, analizziamo due colossi che hanno ridefinito il modo in cui desideriamo la pelle: Glossier, l’enfant prodige dell’estetica millennial, e Drunk Elephant, la paladina del clean beauty rigoroso.
Glossier: la pelle come lifestyle
Quando Glossier è nata, non ha lanciato semplicemente dei cosmetici. Ha creato un’estetica di vita. E ha avuto l’intelligenza di partire da un luogo intimo, familiare, disarmante: un blog. “Into The Gloss” ha posto le basi per qualcosa di rivoluzionario. Non più esperti che parlano, ma donne che condividono. La voce narrante di Glossier non è mai quella dell’azienda: è quella della community.
Tutto, dal packaging al tono di voce, è progettato per sembrare accessibile, autentico, spontaneo. Le confezioni sono morbide, color burro e rosa, pensate per essere postate su Instagram e conservate come piccoli oggetti di culto. I testi parlano come scriveresti tu a una tua amica: senza mai sembrare forzati, sempre lievemente ironici, sempre gentili.
Ma la vera forza sta nella capacità di rendere la cliente protagonista: ogni siero è una storia da raccontare, ogni balm una testimonianza personale. Glossier non ti promette la perfezione: ti fa credere che la tua pelle, anche così com’è, sia già qualcosa di speciale. E questo, nel mondo della cosmetica, è branding rivoluzionario.
Drunk Elephant: la scienza prima dell’estetica
Se Glossier ti accoglie come una sorella maggiore glamour, Drunk Elephant si presenta con l’approccio rassicurante di una dottoressa che sa cosa dice. Non c’è millennial pink, non c’è ironia ammiccante. C’è chiarezza, trasparenza, rigore.
Il suo branding si basa su un concetto apparentemente semplice ma potentissimo: eliminare gli ingredienti considerati “problematici” per la pelle. Niente siliconi, fragranze sintetiche, oli essenziali. La loro formula è studiata per rispettare l’equilibrio naturale della pelle e il packaging — squadrato, colorato ma essenziale — riflette perfettamente questa idea di precisione accessibile.
Anche il tono di voce è diverso: non vuole sedurre, ma spiegare. Non accarezza, ma educa. E in questo modo conquista la fiducia del pubblico più esigente, quello che legge l’INCI e cerca qualcosa di più di un effetto wow al primo utilizzo.
Due visioni, una stessa ossessione: il racconto della pelle
Glossier e Drunk Elephant non potrebbero essere più diverse. Eppure condividono un principio fondante: non vendono solo prodotti, ma visioni di pelle. Glossier punta sulla leggerezza, sulla libertà di mostrarsi anche senza fondotinta, sulla bellezza quotidiana fatta di luminosità e imperfezioni. Drunk Elephant si affida alla competenza, alla credibilità scientifica, alla pulizia come gesto di rispetto verso sé stessi.
La prima parla al cuore e all’ego. La seconda alla razionalità e alla fiducia. Ma entrambe lo fanno con un linguaggio coerente, riconoscibile, studiato in ogni minimo dettaglio. E soprattutto, costruiscono un rapporto che va oltre l’atto d’acquisto: offrono identità. Appartenenza. Un modo di raccontare chi sei, semplicemente prendendoti cura della tua pelle.
Cosa possiamo imparare dai loro beauty branding
Nel beauty branding contemporaneo, non basta avere un buon prodotto. Bisogna avere un’idea chiara di chi siamo e di come vogliamo essere percepiti.Bisogna sapere che tipo di storia vogliamo raccontare. E a chi.Glossier ha costruito un universo estetico inclusivo e dialogico, fatto di luce naturale, camere da letto disordinate e sorrisi non ritoccati. Drunk Elephant ha puntato sulla credibilità scientifica, sulla trasparenza formulativa, sull’idea che skincare significhi cura, e non copertura.
Entrambe ci mostrano che la pelle è molto più di un organo: è una tela. E chi la dipinge — ovvero noi — ha bisogno di strumenti che siano sì efficaci, ma anche coerenti con ciò che desidera raccontare al mondo.
Alla fine, il vero beauty branding non è solo estetica: è psicologia, è cultura, è visione. È la capacità di farti credere che quella pelle lì, quella liscia, luminosa, curata ma non troppo, possa essere la tua. Non con una promessa esagerata, ma con un’identità così forte che ti viene voglia di appartenere a quel mondo, prima ancora di provarlo.
E allora sì, magari non basterà una crema per diventare la versione migliore di te stessa. Ma il racconto che la accompagna può fare molto più di quanto pensi.












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